926. «Noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo»

La semina del mattino
926. «Noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo» (Eb 4,3).

Nella accorata esortazione alla fedeltà a Cristo, viene sottolineata la bontà del riposo, una realtà che già il Salmo 95 aveva identificato come la Terra Promessa data al popolo di Israele. Essa è segno della realtà escatologica, cioè degli ultimi tempi, e dei beni messianici, che viene donata nella duplice fase di salvezza iniziata e salvezza realizzata. La storia dell’antico popolo d’Israele riporta il cammino nel deserto fino a raggiungere la meta della terra desiderata che si configura proprio come un riposo, dopo 40 anni di cammino con difficoltà incomparabili. Risulta un paradigma del cammino della vita per il raggiungimento dei beni eterni traguardo di felicità e di appagamento completo. Il riposo necessario ogni giorno è parte integrante dell’attività: la dinamica vitale lo prevede e lo prescrive senza mezzi termini. Venir meno a questa legge di matura significa sottoporre la mente, il cuore, il corpo ad uno straordinario affaticamento che può arrecare notevoli danni. Dio stesso, attesta la Bibbia con un linguaggio antropomorfico, al settimo giorno della creazione volle riposarsi per contemplare tutto quanto aveva realizzato. La prospettiva che si pone dinanzi alla vita è il suo termine ultimo che si configura come «riposo eterno» che è quello dei morti, fine dell’esodo umano e porta di accesso alla «vita eterna». Simile prospettiva non deve angustiare ma mettere in guardia e sollecitare a vivere bene, obbedendo a quanto la sapienza divina suggerisce: «In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato» (Sir 7,36). P. Angelo Sardone