925. «Siamo diventati partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuto fin dall’inizio»

La semina del mattino
925. «Siamo diventati partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuto fin dall’inizio» (Eb 3,14).

Nella vita cristiana e nel personale impegno vocazionale, il dovere della fedeltà a Cristo ha come finalità la felicità che, per gli Ebrei, era adombrata dalla Terra Promessa, la terra del riposo. Oggi si compiono 40 anni del «dies natalis», cioè della morte, di una delle persone a me più care, quasi un secondo padre e non solo per me, don Michele Gesualdo, il parroco della mia fanciullezza, della promozione, guida e corrispondenza alla vocazione sacerdotale e religiosa e dei miei primi anni di sacerdozio. Era nato il 17 maggio 1919 ad Altamura dove compì gli studi ginnasiali. Per seguire la vocazione al sacerdozio, studiò la filosofia a Roma e Anagni e la teologia al seminario di Molfetta. Divenne sacerdote il 28 giugno 1944. Dopo alcune esperienze pastorali come vice parroco in due parrocchie, gli fu consentito di trasferirsi al Santuario del Divino Amore a Roma accolto dal Servo di Dio don Umberto Terenzi che ne esaltò «la bontà, la serietà, la dedizione al santuario, specie per i piccoli figli della Madonna, i seminaristi». Le lungaggini per la sua incardinazione a Roma lo fecero decidere a rientrare ad Altamura dove divenne prima vice-parroco ed il 1958 parroco alla chiesa del Carmine fino alla sua morte avvenuta il 12 gennaio 1983. Le sue caratteristiche furono insieme con la semplicità e la fiducia negli altri, il contatto umano con la gente semplice ed uno spiccato amore per la gioventù. Presenza ed ascolto gli permisero di entrare nel cuore del popolo di Dio, nelle case, con la cura degli ammalati, vero «apostolo della gente», manifestando un grande amore alla «Vergine santa», come amava dire, ed un’ottima capacità di promozione, discernimento ed accompagnamento di vocazioni sacerdotali e religiose, a cominciare dalla numerosa schiera di chierichetti che sempre lo affiancavano, dall’Azione Cattolica nei diversi settori, particolarmente i giovani. Le aperture del Vaticano II lo trovarono pronto ad applicare con successo soprattutto nella Liturgia, le novità conciliari. L’amore alla Madonna del Carmine e la cura dei due Terz’Ordini maschile e femminile segnarono sino alla fine la sua intensa esistenza di prete della gente, non aulico dall’altare, ma pratico ed amorevole con tutti. Partecipe di Cristo, davvero ha mantenuto salda la sua fiducia in Lui, esortando tutti a compiere la volontà di Dio. P. Angelo Sardone