603. «Noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti»

La semina del mattino
603. «Noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti» (Gc 5,11).

L’imminenza dell’arrivo del giudice del mondo, secondo il criterio pratico di vita di Giacomo, deve indurre a non lamentarsi, ma a prendere come modelli di sopportazione e costanza i profeti e Giobbe. In forza della loro pazienza esercitata con eroismo, essi hanno ha avuto una sorte propizia proprio perché Dio è ricco di misericordia e di compassione. La pazienza è un “frutto dello Spirito” (Gal 5,22) ed una delle cosiddette virtù umane, cioè “attitudini ferme, perfezioni abituali che regolano i nostri atti e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede per condurre una vita moralmente buona” (CCC, 1804). Essa, in particolare, ha meritato una ulteriore beatitudine non contenuta in quelle proclamate da Gesù. Sono beati coloro che l’hanno esercitata e la esercitano. La promessa di Dio e la sua attuazione richiede attesa perché i tempi di Dio non sono i nostri tempi. L’esperienza pregressa dei profeti, tenuto conto della difficoltà dell’attesa, lo insegna con abbondanza. La pazienza, come la speranza, non delude perché le cose di Dio sono portate da Lui alla giusta conclusione. Le indicazioni dell’autore sacro sono stimolo alla fiducia ed all’abbandono nelle mani di Dio ma anche disponibilità ad una retta e concreta attuazione della Parola di verità che non è lasciata al caso ma donata nella prospettiva di misericordia e provvidenza. Per le diverse situazioni la vita richiede tanta pazienza proprio alla maniera di Giobbe. La gravità dei problemi e la difficoltà per la loro soluzione non sempre trovano i cristiani fiduciosi. Questa nuova beatitudine apre davvero la mente ed il cuore. P. Angelo Sardone