La semina del mattino
1100. «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gn 22,12).

La prova di fedeltà richiesta ad Abramo da Jahwé è durissima, inumana. Il figlio tanto desiderato, nato quando i genitori erano anziani e Sara nell’impossibilità di generare, dono gratuito concesso da Dio in cambio di tanti gesti di generosità ed accoglienza, primo di una discendenza senza numero promessa, viene ora richiesto in sacrificio. La tensione emotiva e narrativa è straordinaria: si tratta di una prova dolorosissima. L’unica risposta di Abramo registrata nella Scrittura è «eccomi!», cioè sono pronto, obbedisco. Qui si trova il culmine della fede del grande patriarca. Le sequenze successive sono scene strazianti per il padre e dense di interrogativi per il figlioletto Isacco assolutamente ignaro di che cosa sta facendo, come d’altronde i servi. Chissà quale sentimento struggente di dolore e nello stesso tempo di determinazione muove il cuore e la mente di Abramo mentre incede per tre giorni verso il luogo designato da Dio. Il copione divino prevede una evoluzione graduale di pathos e sorprese. Giunti sul luogo con un coraggio sorprendente ed una freddezza disumana, Abramo prepara la legna e lega il figlioletto sulla catasta: mentre sta brandendo il coltello per il sacrificio, viene fermato dall’angelo che gli ingiunge di non fargli alcun male. La prova è stata superata abbondantemente. Ha dato dimostrazione piena di temere Dio e di essere pronto a sacrificare a Lui ciò che di più prezioso aveva. In questo segno, sin dall’antichità è stata intravista la figura della passione di Cristo. Si rimane senza parole. La fede in Dio rivela il risvolto eclatante della maturità di Abramo ed il suo cieco abbandonarsi all’inspiegabile volere divino. Quanto abbiamo da imparare! P. Angelo Sardone