45. «Pietà di me, Signore, Figlio di Davide» (Mt 15,22

_La semina del mattino_
*45. «Pietà di me, Signore, Figlio di Davide» (Mt 15,22).*
Qualunque invocazione si innalza al cielo, Dio l’accoglie. In particolare non restano indifferenti al suo cuore le richieste di chi soffre e per chi soffre. La sua grandezza si manifesta nella _generosità verso le creature_, che, a qualunque popolo o nazione appartengano, si rivolgono a Lui con *fede*. Il suo modo di rispondere non sempre corrisponde a come l’uomo vorrebbe che fosse: _*immediato, sollecito, pieno*_. La sua risposta è condizionata da un comprovato atteggiamento di fede da parte del richiedente, cui si associa, l’insistenza, l’umiltà ed il riconoscimento della divinità di Cristo. Il grido della donna *Cananea* pieno di straziante dolore per la situazione particolare della figlia molto tormentata dal demonio, risuona forte, insistente e continuo e si concentra in due mirabili espressioni: «*Pietà di me, Signore!*» e «*Signore, aiutami!*», entrambe _*formidabili manifestazioni di fede*_. Gesù che prima era rimasto indifferente non degnandola neppure di una parola, apprezza la fede della donna, che, nonostante sia una straniera, riconosce la sua divinità e lo invoca Figlio di Davide. Confermando il suo ruolo di salvatore delle pecore perdute di Israele, la mette alla prova con *il segno del pane* destinato ai figli (_gli Israeliti_) che non può essere gettato ai cagnolini (_gli stranieri_). Il bisogno si fa intelligente virtù: riconoscendo che anche le briciole cadute dalla tavola dei padroni possono sfamare i cagnolini, la _*Cananea vince la resistenza di Gesù*_ che, riconosciuta la *grandezza e la maturità della sua fede*, le concede quanto richiesto. _P. Angelo Sardone_