396. «Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto!»

La semina del mattino
396. «Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto!» (Nm 11,15).

Fu davvero dura la missione condotta da Mosè lungo il pellegrinaggio dell’Esodo durato quarant’anni! Non si trattava solamente di condurre gli Ebrei fuori della cattività egiziana, ma di aiutarlo a costituirsi come “popolo dell’Alleanza”, oggetto dell’amore di Dio e del suo misterioso modo di comunicare. Non era affatto semplice data la “dura cervice” degli Israeliti e la fede non ancora matura. Durante i 430 anni di permanenza in terra straniera per quanto avevano potuto mantenersi fedeli alle tradizioni dei Padri, si erano dovuti adattare ai costumi dei dominatori in tutto, compreso nell’espressione della fede e del culto al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Mosè si era trovato a reggere per volere di Dio un popolo frastagliato nella mente e nel cuore, che nonostante tutto si era adattato al regime egiziano. La sua pazienza dinanzi ai continui soprusi subiti, alla mormorazione costante, all’incapacità di comprendere il piano che Jawhé voleva realizzare, tocca il limite e più di una volta si lascia andare ad uno scoraggiamento che gli fa desiderare finanche la morte. Queste situazioni e queste sensazioni si rinnovano nell’oggi della Chiesa e della vita sociale. Spesso anche i sacerdoti, guide delle anime, dinanzi all’ostinatezza poco intelligente del popolo di Dio, oltre ad esercitare la pazienza, sono in fase di scoraggiamento con la sensazione di inutilità fino a non farcela più. Quanto è difficile la vera maturità di vita e di fede anche in chi pensa di credere fermamente e poi non si abbandona al volere di Dio espresso anche con le vicissitudini storiche e spirituali! P. Angelo Sardone