27 giugno 2020

Mattutino di speranza
27 giugno 2020

Affabilità e dolcezza sono qualità e virtù umane che interagiscono con i sensi, si esprimono col comportamento, provocano interazione e sortiscono facile accoglienza da tutti. Sono “abiti operativi buoni” ordinati al bene e si distinguono da quelli cattivi, cioè i vizi. Si tratta di elementi propri ed innati dell’indole e del carattere di una persona, ma anche valori acquisiti attraverso l’educazione ed una buona formazione ricevuta. Si oppongono alla ruvidità ed alla durezza. La persona piacevole con la quale si può parlare e relazionarsi, che ispira confidenza e dalla quale si accoglie una buona parola ed un gesto cortese, si dice affabile. La piacevolezza e la dolcezza nel parlare e nel trattare con gli altri si traducono anche in benignità, cordialità, cortesia, garbo, giovialità. Riferendosi alla sposa saggia e buona, il libro sapienziale del Siracide afferma che «la sua amabilità vale più dell’oro» (Sir 7,19). S. Paolo esorta: «La vostra affabilità sia nota a tutti» (Fil 4,5) per dare gloria a Dio ed instaurare buoni rapporti con tutti. La dolcezza è caratteristica di ciò che è gradevole ai sensi: un suono, una sensazione, un sentimento, un cibo, uno sguardo, un sorriso. Evoca mitezza, gentilezza, amabilità. Riferita al marito che l’ha sulla sua lingua insieme con la bontà, lo rende un “non comune mortale” (Sir 36,25); corre di pari passo con l’umiltà, la magnanimità e la reciproca sopportazione (Ef 4,2). Affabilità e dolcezza sono virtù propriamente umane, cioè «attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell’intelligenza e della volontà che regolano gli atti, ordinano le passioni, guidano la condotta secondo la ragione e la fede. Procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona» (CCC 1804). La vita cristiana si esplica nell’esercizio delle virtù teologali, cardinali e soprattutto quelle propriamente umane, specchio ed esplicazione delle prime. La grazia santificante forgia il carattere e rende spontanea la realizzazione del bene rendendo l’uomo e la donna felici nel praticare ogni virtù. Nella vita spirituale non si può fare a meno di praticare queste virtù: potrebbe sembrare una cosa scontata ma si sa che richiede costante impegno, decisa volontà, carico anche di sacrifici, apertura, a partire dalle persone e dagli ambienti più vicini e familiari. Un gesto di cortesia, un sorriso affabile, una parola delicata, un messaggio scritto o registrato con dolcezza, sortiscono molti più effetti di intere prediche e dotti insegnamenti. La spiritualità autentica si colora di queste virtù ed il loro esercizio agevola l’accoglienza e la pratica di quelle teologali che hanno Dio per oggetto immediato e principale, e sono da Lui infuse. Con la Fede infatti crediamo in Dio e tutto ciò che Egli ha rivelato; con la Speranza speriamo di possedere Dio; con la Carità amiamo Dio, noi stessi e il prossimo. Con le virtù umane, intellettuali e morali, ci avviciniamo di più all’uomo. S. Agostino scriveva: «Non c’è gradino più sicuro per giungere all’amore di Dio, che l’amore dell’uomo verso l’uomo. E non si può avere l’uno senza l’altro!». Affabilità e dolcezza non vanno confusi con debolezza ed ingenuità. I Santi decisi e fermi non sono da meno di quelli gioiosi e sorridenti. Le fotografie di S. Annibale che la tradizione rogazionista ha raccolto e custodito, lo ritraggono quasi tutte con un viso piuttosto serio. Ma non per questo era una persona crucciata o scostante. Basta leggere i suoi numerosi scritti soprattutto quando parla dei bambini, dei poveri, della salvezza delle anime, per comprendere quanta dolcezza, quanta tenerezza ed amabilità vi fosse e trasparisse dal suo cuore. Trovo un efficace riscontro in una bellissima foto laddove il suo sorriso e quello dei bimbi circostanti sono la manifestazione più vera e chiara di una serenità d’animo trasfusa con la dolcezza e la tenerezza proprie di un padre e di una madre. L’impegno di un cammino di vita virtuosa che tende alla perfezione, richiede ogni giorno la pratica di queste virtù guardando a Dio che, come dice S. Annibale, «racchiude in sé ogni bellezza e bontà». P. Angelo Sardone.