La semina del mattino
2095. «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa» (Col 1,18).
La lettera di S. Paolo ai Colossesi è indirizzata alla comunità di Colossi, una piccola città della Frigia, nell’odierna Turchia che a seguito della predicazione di Epafra aveva orientato i suoi passi sulla via di Cristo. In essa c’erano anche altri insegnamenti che sviluppavano una forma cosiddetta di sincretismo, con fusioni e mutazioni di elementi appartenenti a religioni diverse. Gesù Cristo veniva così a trovarsi non al centro della fede. L’Apostolo ribadisce allora la sua centralità ed il dominio di Cristo sul cosmo e sulla Chiesa. Inserisce pertanto l’affermazione in un celebre inno cristologico che, a detta degli studiosi, è uno dei testi più belli e più solenni del Nuovo Testamento. Partendo dalla sua identità di Signore della creazione, sulla quale egli regna, Gesù viene definito anche Signore della redenzione con l’autorità vitale di capo sul suo corpo mistico che è la Chiesa che proprio in Lui è fondata e da Lui riceve esistenza e vita, unità e coesione. In questa condizione Cristo è unico e basta a tutto: non ha bisogno di altri mediatori. Egli è il capo assoluto e la pienezza stessa della divinità. Il riferimento a Cristo come capo, richiama l’esigenza di essere unito a Lui. Il duplice segno del capo e del corpo, esige una comunione piena con Lui, perché come un corpo non può vivere senza la testa, così la Chiesa, corpo di Cristo nella storia, non può vivere e sussistere senza di Lui. La teologia cristiana forgerà l’allocuzione «ubi Christus ibi ecclesia», cioè «dove c’è Cristo lì c’è la Chiesa» un concetto teologico di alto valore e, più specificatamente, Sant’Ambrogio creerà una analoga «ubi Petrus, ibi Ecclesia», dove c’è Pietro, cioè il papa, là c’è la Chiesa. P. Angelo Sardone