La semina del mattino
2062. «Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità» (Qo 1,2). Nel caldo afoso che caratterizza quest’estate, giunge oggi una temperatura oltremodo rinfrescante, se non addirittura gelida. Il testo proposto dalla liturgia, uno dei più significativi dell’intero libro, proviene dal Qoèlet che appartiene alla sezione biblica dei libri cosiddetti didattico-sapienziali. Anticamente era noto come «Ecclesiaste», termine greco che traduce quello ebraico che significa «uomo dell’assemblea», sia il predicatore o oratore, sia l’assemblea in quanto tale. Come succede spesso nel vecchio Testamento, una finzione letteraria identifica l’autore col re di Gerusalemme, Salomone, il re saggio per eccellenza. È diviso in due parti e composto di 12 capitoli. Non c’è uno schema ben definito, ma variazioni continue su un tema unico: la vanità. Scienza, ricchezza, amore, vita stessa: é tutto illusorio! Una risoluzione ed una risposta viene solo dalla fede nella remunerazione divina che verrà dopo la morte. A detta degli studiosi, «vanità» significa principalmente vapore umido, fiato, indica la fragilità umana, che però con Qoelet diventa illusione e delusione per l’uomo. Ad esso si aggiunge l’affanno, elemento evocato più volte nella trattazione. Le opere manuali, tutta la fatica giornaliera per vivere, diventa affanno e preoccupazione. Una lettura senza speranza potrebbe far pensare immediatamente ad affermazioni oltremodo pessimistiche. Ma non è così. Lo stesso autore lo afferma in conclusione del libro: «le parole dei saggi sono come pungolo, come chiodi piantati». La cosa più importante è temere Dio e seguire i sui comandamenti. In questo c’è il perfetto contrario di ciò che è vanità. P. Angelo Sardone