1639. «Ecco, io invierò il profeta Elìa prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e dei figli verso i padri»

La semina del mattino

1639. «Ecco, io invierò il profeta Elìa prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e dei figli verso i padri» (Ml 3,23-24).

Malachia, l’ultimo dei profeti minori, il cui nome dall’ebraico significa «mio messaggero», nel libro omonimo di appena 3 capitoli, scritto intorno al 516 a.C. nella appendice conclusiva, fa riferimento alla venuta di Elia per riconciliare le famiglie prima del giorno di Jahwé. Era indubbia sin d’allora la fama e l’importanza del profeta di fuoco nella storia teologica, sociale ed escatologica del popolo di Israele. Sotto questo nome egli annunzia la venuta dell’angelo dell’alleanza nel quale, gli evangelisti sinottici hanno riconosciuto il precursore di Gesù, Giovanni il Battista. Lo stesso Cristo spiegherà poi che Elia in effetti è venuto nella persona del Battista. Quel giorno sarà corredato da due elementi di purificazione: il fuoco del fonditore e la lisciva dei lavandai per fondere e purificare come l’argento i figli di Levi, cioè la stirpe sacerdotale perché offrano al Signore un’offerta secondo giustizia e il popolo non sia sterminato. Sembra stridente il fatto che in piena preparazione al Natale, tempo di luce e di gioia, la Liturgia prediliga questo testo che richiama il castigo e la purificazione. Il compito di Giovanni il Battezzatore di ieri, come quelli di oggi, consiste nel convertire i cuori, a cominciare proprio dal contesto familiare, laddove a volte si annidano risentimenti, rancori nelle relazioni parentali anche tra figli e genitori e viceversa. Fare Natale significa anche questo: lo stucchevole buonismo proprio di ideologie malsane ed antievangeliche lasciamolo a giacere nelle espressioni commerciali di prodotti da consumare e di formali regalie. P. Angelo Sardone