1451. «Elìa salì nel turbine verso il cielo. Elisèo guardava e gridava: Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suoi destrieri! E non lo vide più»

La semina del mattino
1451. «Elìa salì nel turbine verso il cielo. Elisèo guardava e gridava: Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suoi destrieri! E non lo vide più» (2Re 2,11-12).

La conclusione del ciclo di Elia viene documentato all’inizio del Secondo Libro dei Re. Dopo aver esercitato il suo ministero ed aver designato come suo successore Eliseo, consapevole di stare per essere rapito, il grande profeta chiese al giovane allievo che cosa avrebbe potuto fare per lui. Eliseo rispose arditamente che due terzi del suo spirito diventassero i suoi. Nella tradizione giuridica antica il figlio maggiore riceveva una doppia parte dell’eredità paterna. Elia rimase sorpreso e lodò la sua audacia intravvedendo il desiderio che fosse riconosciuto come erede spirituale e gli promise che ciò gli sarebbe stato concesso se l’avesse visto mentre era rapito. E così avvenne. Si interpose tra loro un carro di fuoco con cavalli di fuoco, ed Elia salì nel turbine verso il cielo. Anche per questo è passato alla storia, giusta l’espressione del Libro del Siracide (Sir 48,1-12), come «profeta simile al fuoco». Alla sua parola ardente ed al suo coraggio indomito si aggiungeva ora questo straordinario privilegio, essere rapito in cielo. La reazione di Eliseo è un misto di sorpresa e di angoscia: perde il padre e il suo maestro che gli ha dato lezioni di vita e lo ha instradato nella difficile arte e missione del profetismo, ma anche è consapevole che una grandezza simile il Signore poteva concederla solamente a lui. I maestri che il Signore pone sulle nostre strade anche se non sono assunti in un carro di fuoco, sono condotti in cielo e premiati per la fermezza del loro linguaggio, la fortezza nell’affrontare e risolvere le situazioni, la carità autentica esercitata nella verità e nel servizio costante al prossimo. P. Angelo Sardone