1350. «Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia»

La semina del mattino
1350. «Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia» (Is 65,19).
Quasi a conclusione del suo lungo libro, Isaia, il terzo, delinea una situazione finale inserita in una raccolta apocalittica, tipica dell’inizio del tempo post esilico. L’era messianica descritta sin dagli inizi da diversi profeti, è rappresentata come un ritorno al paradiso. Ora, però, subirà un rinnovamento totale: vi sarà un mondo nuovo, cieli nuovi e terra nuova, una sorta di nuova creazione che si esprimerà nella gioia e cancellerà dalla mente il passato. La città di Gerusalemme ed il popolo di Israele saranno per la gioia ed il gaudio. Non ci sarà più pianto né grida di angoscia. La vita sarà allungata, dal bimbo fino all’anziano, al giovane che giungerà a cent’anni e se questo non avverrà sarà considerato maledetto. Le case saranno ricostruite e comodamente abitate; le vigne torneranno ad essere piantate e produrranno frutto sicuro. Il popolo necessitava di parole di questo tenore per poter ricominciare la sua vita sotto un’egida diversa di Dio, avendo scontato nell’esilio il suo traviamento e la sua punizione. Uno squarcio di speranza si apre davanti agli occhi ed al cuore e, soprattutto oggi, infonde il coraggio necessario per affrontare la vita con tutte le sue difficoltà e i problemi, con la certezza che, nonostante tutto, Dio non è stanco degli uomini ed apre una strada anche dove sembra che tutto sia finito. Restano comunque il pianto e l’angoscia le cui grida talora diventano assordanti a causa di guerre, ingiustizie, sopraffazione egoistica di chi manovra il mondo. Certa è la speranza che un mondo migliore è alla portata di tutti se si continua a credere in Dio ed anche nell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. P. Angelo Sardone