La semina del mattino
1237. «Molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi impuri e preferirono morire pur di non contaminarsi con quei cibi e non disonorare la santa alleanza, e per questo appunto morirono» (1 Mac 1,62-63).
Nelle ultime due settimane dell’anno liturgico, attraverso la Parola di Dio donata ogni giorno particolarmente nella Liturgia eucaristica, la Chiesa propone la riflessione sulle realtà ultime, dette escatologiche, per richiamare il senso della vita e considerare la finitezza di ogni cosa. Un testo interessante è quello dei Maccabei, due libri, ritenuti Deuterocanonici cioè non accolti nella Bibbia ebraica ma riconosciuti dalla Chiesa come ispirati. L’intitolazione è determinata dall’eroe principale, Giuda, detto Maccabeo, cioè martellante per le sue imprese belliche a favore del popolo di Israele. Le vicende storiche riportano un periodo buio in riferimento alla fedeltà all’alleanza sotto il dominio del conquistatore ellenista, il re Antioco Epifane, radice perversa, la complicità di alcuni esponenti giudaici e la reazione della coscienza nazionale legata al Tempio di Gerusalemme ed alle tradizioni dei Padri sconvolti dall’irruzione del re e dalla profanazione del luogo sacro. Una lettura sistematica dei due libri, aldilà della proposta liturgica, consente di conoscere dal punto di vista storico e teologico le vicende del popolo di Israele in uno dei passaggi più importanti e moderni della sua storia millenaria. La testimonianza di fedeltà di chi rimane ancorato alla Legge ed alla Tradizione dei Padri è sicura garanzia della salvezza per chi, anche oggi, vive con tenacia ed impegno la sua adesione a Dio. Torna caro ed attuale anche nella vita spirituale l’antico assioma di Cicerone «historia magistra vitae», «la storia è maestra di vita» (De Oratore II, 9). P. Angelo Sardone