1198. «È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato davanti al Signore degli eserciti?»

La semina del mattino
1198. «È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato davanti al Signore degli eserciti?» (Ml 3,14).

Può sembrare davvero sconfortante quest’espressione singolare del profeta Malachia, il cui nome significa «il mio messaggero», posteriore al ristabilimento del tempio riedificato a Gerusalemme (515 a.C.). L’intero testo profetico, un brevissimo scritto di appena tre capitoli si concentra particolarmente sull’amore del Signore per Israele, il tema importante del giorno del Signore ed il trionfo dei giusti nel giorno del signore. L’entusiasmo iniziale suscitato anche da altri contributi profetici di Aggeo e Zaccaria è andato pian piano affievolendosi ed è sopraggiunto un magone di delusione che si traduce in bieco pessimismo fino a giungere ad espressioni di resa psicologica ed esistenziale: osservare i comandamenti di Dio e camminare davanti a Lui non ha procurato alcun vantaggio. Forse è tutto inutile. Al contrario sembrano beati i superbi, che pur facendo il male si moltiplicano e restano impuniti! Meno male che poi appaiono i timorati del Signore che finalmente fanno sentire la loro voce. Il quadro particolare fotografa una situazione ricorrente nella storia umana e cristiana: molte volte proprio i pii e devoti sono quelli che si scoraggiano facilmente dinanzi agli eventi. Con la perdita del primitivo fervore si va incontro ad un inesorabile tiepidismo fino a giungere a conclusioni insensate che ricusano tutto ciò che si è fatto prima e ci si abbandona al cupo pessimismo senza meta e senza luce. Tanti cristiani a volte brancolano in questa situazione. I raggi benefici del Signore tornano a splendere e rendono gli individui «saltellanti come i vitelli di stalla». P. Angelo Sardone