1195. «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia»

La semina del mattino
1195. «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia» (Gio 1,12).

In questa settimana nella Liturgia eucaristica si leggono alcune pagine di un personaggio del Vecchio Testamento che dà il nome allo stesso libro, Giona, una minuscola composizione di quattro capitoli, collocata tra i profeti minori. La critica odierna ritiene che si tratti di una parabola esemplare con un consistente contenuto teologico e profetico per dimostrare il grande amore di Dio per l’uomo.
La vicenda iniziale del personaggio biblico avrà rilevanza nel Nuovo Testamento quando Cristo stesso la riprenderà ad indicare i tre giorni della sua permanenza nella terra dopo la morte, a somiglianza dei tre giorni trascorsi da Giona nel ventre di un pesce enorme. Il Signore comanda a Giona di andare a predicare a Ninive, l’antica metropoli capitale dell’Assiria. Giona non se la sente e fugge dagli occhi di Dio imbarcandosi su una nave che viene però sbattuta dalle onde provocate da un terrificante temporale, rischiando di colare a picco. Dai marinai ciò viene letto come un segno divino di castigo che deve avere qualcuno che l’ha provocato. Giona si fa coraggio, confessa la sua disobbedienza ed osa fino in fondo chiedendo di essere gettato in mare perché solo così la tempesta si calmerà e la nave sarà salva. Il Signore provvederà comunque a salvarlo. La parabola ha spesso il suo riscontro nella vita: la responsabilità di determinate azioni, soprattutto di rifiuto, coinvolge spesso in situazioni pericolose persone che non c’entrano. Ma non sempre c’è chi se le assume fino a rendersene capro espiatorio e togliere altri da difficoltà e pericoli. P. Angelo Sardone