1172. «Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna»

La semina del mattino

1172. «Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (1Tm 1,16).

Una sezione specifica delle lettere di S. Paolo con un’espressione risalente al 1753, viene detta pastorale e si riferisce a due lettere scritte a Timoteo ed una a Tito. Sono considerate tali sia per i contenuti e lo stile comune, che per le istruzioni date ai due suoi discepoli pastori della Chiesa di Efeso e di Creta. L’Apostolo confessa la grazia ricevuta da Dio magnanime nei confronti di lui persecutore e peccatore, perché la sua vita potesse diventare esempio per tanti altri dopo di lui. In questa affermazione si specifica l’identità di vita e di santità di papa Cornelio (+253), romano di nascita e del vescovo cartaginese S. Cipriano (210-258). Il loro legame liturgico è motivato anche dalla consonanza che ebbero in vita, quando sull’orlo di uno scisma scatenato da Novaziano che tacciava Cornelio di debolezza e non lo riconosceva come papa, Cipriano, con altri vescovi, lo riconobbe difese strenuamente. Fermo il primo, coraggioso il secondo, testimoniarono col martirio di sangue l’adesione a Cristo in tempi di calamità persecutoria. Non era la distanza fisica ad impedire la vicinanza di fede e l’adesione sincera alla vita della Chiesa, governata da chi era vistosamente contestato. La storia si ripete anche oggi. Papa Francesco non è un eretico o un abile approfittatore che si è seduto sulla cattedra di S. Pietro con manipolazione ed inganno. Ogni vescovo, sacerdote o semplice fedele deve essere in comunione con lui, capo della Chiesa, per avere la garanzia dell’ortodossia e non essere vittima degli affronti più o meno vistosi fatti da qualche assolo stonato. P. Angelo Sardone