19 giugno 2020

Mattutino di speranza
19 giugno 2020

Il vero progresso nella vita spirituale si chiama santificazione. Essa, come scrive S. Paolo, è precisa espressione della volontà di Dio (1Tes 4,3). Se ciò si riferisce al popolo di Dio, a maggior ragione si applica a coloro che del popolo sono i pastori, i presbiteri. La santità del sacerdote è strumento e via per la santificazione del popolo di Dio del quale è chiamato ad essere luce che rende chiara la strada e sale che dà sapore. La santità è frutto di una vita spirituale di qualità e si sorregge mediante la preghiera. Oggi, Solennità del Cuore Sacratissimo di Gesù è la giornata annuale di santificazione sacerdotale. Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo ha scelto noi sacerdoti in mezzo ad altri uomini e ci ha costituito davanti a loro in tutto ciò che si riferisce a Lui per il bene degli uomini stessi. Innalzo al Signore viva gratitudine per il dono del sacerdozio fatto alla mia povera persona. Essa è ancora più espressiva e vincolante, per la consapevolezza di avere il grande tesoro del sacerdozio nel fragile vaso di creta della mia umanità, della pochezza, del limite (2 Cor 4,7). Sono stato consacrato nella Chiesa per attuare lo specifico ministero della santificazione, mia e degli altri. Se così non fosse tutta la vita sarebbe un controsenso. La santità vera testimonia e genera santità ad ogni livello: è prerogativa per un fruttuoso servizio apostolico e pastorale. Il segreto consiste nell’arrendersi a Dio, al suo amore, al suo desiderio di renderci sempre più simili a sé nel Figlio Gesù Cristo. La santità deriva dal Cuore di Cristo, un cuore pieno di compassione, tenerezza e misericordia, le caratteristiche che indicano la strada maestra di un autentico itinerario di perfezione. Il mio personale e responsabile cammino di santificazione mi vede camminare con la gente. Chiedo al Signore di avere occhi sempre desti per vedere le necessità dei fratelli, cuore sempre aperto per sentire le loro ansie ed i loro problemi, intelligenza e forza necessari per portare i pesi degli altri. Voglio essere un fratello che cammina insieme ad altri fratelli percorrendo le strade della vita, abbattendo le distanze con la vicinanza del cuore, prendendomi addosso i problemi degli altri e sorreggendo con l’affetto vero e disinteressato chiunque il Signore mette sul mio cammino. La santità diviene allora una forza di reciprocità, il mezzo più efficace della condivisione, la trasmissione autentica dell’amore di Cristo. Sperimento che nella misura in cui mi metto a servizio, insieme con la ricompensa promessa da Gesù nel Vangelo, ricevo stimoli continui a percorrere il cammino della santificazione che porta in sé una grave responsabilità. L’Imitazione di Cristo così tratteggia la santità personale del sacerdote: «Quale impegno ti è stato affidato con l’imposizione delle mani del vescovo! Tu sei diventato sacerdote e consacrato per celebrare; guarda d’offrire a Dio il sacrificio nel tempo dovuto, fedelmente e devotamente e mostrati irreprensibile. Col sacerdozio non hai alleggerito il tuo carico, ti sei legato anzi con più stretto vincolo di disciplina, obbligandoti a maggior perfezione di santità». La santità cui il sacerdote è chiamato non rimane vincolata a se stesso ma contribuisce alla santificazione del Popolo di Dio soprattutto nell’esercizio del compito di pascere il gregge di Dio affidato, non per forza ma di buon animo, non atteggiandosi a padrone, ma offrendo una testimonianza esemplare (cfr 1Pt 5,2-3). La comunità cristiana vede, accoglie e segue il sacerdote quando lo percepisce davvero come uomo di Dio, dedito alla preghiera, fratello, equilibrato animatore della preghiera e della liturgia, pastore premuroso, amico fidato, guida illuminata. La santificazione si percorre innanzitutto con l’esempio e poi con la parola in modalità tali che la distinguano in tonalità superiori di espressioni, comportamenti, intendimenti. S. Annibale M. Di Francia affermava: «Essendo io sacerdote riconosco che la santificazione cui debbo aspirare deve essere superiore a quella dei secolari o laici, i più pii e santi che vi possano essere, e quindi ne avrò almeno il desiderio e farò lo sforzo continuo per conseguirla». Il sacerdote costruisce la sua santità giorno per giorno coltivando la vita interiore, guardando al Cuore di Cristo, amando il Cuore di Cristo, pozzo dal quale attinge l’acqua salutare della vita e della grazia, dell’amore e del dono di sé agli altri. L’esercizio delle virtù evangeliche e sacerdotali è indispensabile quanto il sostegno spirituale della preghiera, soprattutto del popolo fedele, per il quale “si è fatto preghiera”. Il professor Enrico Medi in una celebre conferenza al clero affermava con vigore: «tutti noi vogliamo vedere innanzitutto il sacerdote santo, il sacerdote saggio, il sacerdote semplice, il sacerdote crocifisso ogni giorno per amore delle anime e per l’ardore dei cuori. Sacerdote, tu sei la nostra fede, tu sei la nostra luce e guai se la fiaccola si spegne e guai se il sale della terra perde il suo sapore». Tutto questo potrà realizzarsi nella misura in cui il cuore del sacerdote diviene tutt’uno col Cuore di Gesù, ossia bontà infinita, amore infinito, carità infinita, misericordia infinita. Il Cuore di Gesù, scriveva S. Annibale vuole cuori caldi e non freddi, cuori che lo amino “assai assai” e si consumano in questa fornace sempre ardente di carità. Chiedo al Signore che dal mio cuore sacerdotale possa trasparire e rendersi visibile il Cuore stesso di Cristo. P. Angelo Sardone