1637. «Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline»

La semina del mattino

1637. «Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8).

Otto capitoli appena, che contengono intense parole di amore, costituiscono il famoso libretto caratterizzato da un titolo superlativo, il Cantico dei Cantici, attribuito al saggio re Salomone in dialogo con una donna Sulammita, ma in realtà scritto da un autore anonimo nel IV secolo a.C. Questo testo, che ha avuto nel corso del tempo e della storia un grande valore, letto e commentato sia dagli Ebrei che dai cristiani, pascolo dei mistici, è un poema vero e proprio si presta ad interpretazioni di allegoria e metafora. L’amore descritto tra due innamorati con una tenerezza profonda e l’utilizzazione di espressioni singolari, non è godereccio o pieno di passione, ma riporta in maniera intensa la relazione che è fatta di unità e di distacco, di parole e di silenzio. L’amore umano viene affermato come amore forte come la morte, una fiamma del Signore, un fuoco. La relazione umana di amore rispecchia l’amore di Dio per l’umanità, ricorrendo all’immagine della relazione dello sposo con la sposa. Per questo la Liturgia lo colloca, tra gli altri tempi e ricorrenze dell’anno, nel periodo di preparazione al Natale, a significare in maniera acuta e «fortemente umana» il grande amore di Dio per l’uomo, nell’aver dato suo Figlio al mondo perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Si tratta di un incontro di amore: Gesù, il Salvatore, l’amato, nasce in una grotta ed attende che ciascuno si rechi da Lui ad offrirgli amore. Vince le asperità dei monti e delle colline, le difficoltà e le sofferenze, e giunge nel segreto del cuore dove si cova l’amore e lo si esprime in pienezza. P. Angelo Sardone